Economia comportamentale e pricing: come calcolare l’impatto prezzo sul valore percepito?

Il valore percepito di un bene o servizio è il punto di partenza per l’applicazione del metodo del value-based pricing, cioè della definizione dei prezzi in base alla disponibilità a pagare dei consumatori e al valore attribuito dal cliente. In particolare, il concetto del valore percepito nasce dalla differenza di costi e benefici che il cliente deve sostenere per l’acquisto di un bene o servizio.

I benefici sono da intendersi come quegli aspetti che il consumatore percepisce positivamente come il valore d’uso del bene che ha acquistato, il valore del brand che permette a chi acquista il bene di godere di un certo status, oppure il valore personale che quel bene o servizio ricopre per il cliente. Mentre i costi che il cliente deve sostenere sono costituiti per la maggior parte dal prezzo di mercato che deve pagare per avere un bene o un servizio, a cui si aggiungono i costi per reperire il bene, il costo informativo, il costo valutativo o il costo di utilizzo.

La differenza tra questi elementi viene spesso ricondotta, per semplicità, alla differenza tra il valore percepito e il prezzo. E dunque, se il prezzo è superiore al valore che il consumatore percepisce, spesso il bene non verrà acquistato o riacquistato in futuro. Viceversa, si genera un acquisto quando il prezzo è uguale o inferiore al valore percepito.

Come misurare il value-based pricing

La misurazione del valore percepito può essere ricondotta a due macro-tipologie di approcci (Busacca e Bertoli 2012):

  • Misurazioni “desk”: ovvero stime e valutazioni effettuate dal management aziendale sul valore percepito, sui singoli attribuiti di un prodotto, sui criteri di scelta e sull’analisi della concorrenza.
  • Misurazioni “field”: ovvero tecniche di analisi basate su ricerche qualitative e/o quantitative per conoscere la percezione del valore del bene, il livello di soddisfazione della clientela e la relazione tra queste variabili ed il prezzo.

Ovviamente, il secondo metodo è il più costoso, necessita dell’impiego di un maggior numero di risorse, ma è anche quello più attendibile e meno rischioso, poiché, a differenza di quanto accade con le misurazioni desk, consente di eliminare distorsioni nelle valutazioni e si basa su risultati oggettivi e misurabili.

Entrambi i metodi possono a loro volta prevedere l’utilizzo di un approccio di composizione o di scomposizione nella valutazione della percezione del valore per il cliente. L’approccio di composizione parte dall’assunto che il valore di un bene o servizio è dato dalla somma del valore attribuito a ciascun attributo che lo compone. Quindi, sia il management, sia le analisi qualitative o quantitative basate su questo approccio partono dalla necessità di individuare gli attributi che possono incidere sulle scelte di acquisto, in secondo luogo necessitano della conoscenza dei pesi relativi di ciascun attributo e, infine, della stima del loro valore per il cliente. In questi casi si utilizza spesso la tecnica à la Fishbein, la cui difficoltà principale sta del valutare l’importanza attribuita ai singoli elementi.

I modelli di Conjoint Analysis più utilizzati dalle aziende

Invece, l’approccio di scomposizione parte dalla considerazione che la percezione del valore possa essere scomposta in più valutazioni parziali riferite ai singoli attribuiti del bene o servizio. A livello pratico, quest’approccio prevede generalmente l’utilizzo della tecnica della Conjoint Analysis.  Riguardo alla relazione tra percezione del valore e prezzo i modelli di analisi congiunta più noti e performanti sono il modello Van Westendorp o il modello Gabor-Granger, entrambi frutto di indagini esplorative realizzate sui consumatori.

I modelli più utilizzati dalle aziende

Il primo parte dall’assunzione che esistano quattro punti di prezzo da cui deriva il prezzo di un bene o servizio, cioè:

  • Prezzo minimo: indica il prezzo al di sotto del quale andrebbero persi molti clienti, a causa della bassa qualità attesa, e per il quale non si registra un guadagno, a causa del prezzo troppo basso.
  • Prezzo di penetrazione: indica il prezzo che registra un basso rifiuto, il cui turnover può essere massimizzato.
  • Prezzo di indifferenza: percezione del prezzo bilanciata, per molte persone si oscilla tra “conveniente” e “costoso”.
  • Prezzo massimo: indica il prezzo al di sopra del quale andrebbero persi molti clienti.

In questo modo è possibile identificare il valore della percezione del cliente al fine di comprendere il livello, o range di prezzo ottimale. E avendo compreso le soglie psicologiche che incidono sul prezzo si definisce la forma della domanda.

Invece, il modello Gabor-Granger rivela i punti prezzo per i quali le probabilità di acquisto calano in modo significativo e permette il confronto diretto tra diversi prodotti. In questo modo si individua un livello di prezzo soglia, oltre il quale la probabilità di acquisto cala in maniera significativa. Grazie a questa tecnica è possibile identificare la sensibilità dei consumatori rispetto al prezzo attraverso il calcolo dell’elasticità.

Questo metodo consente di individuare il prezzo con probabilità di acquisto superiore al 60% e la percentuale di persone che acquisterebbero ad un determinato prezzo. In questo modo è anche possibile valutare le tariffe che potrebbero essere incrementate, quelle che risultano corrette e quelle per cui è meglio valutare se mantenere o meno il prodotto in relazione alla percezione del valore del cliente.

Perché calcolare il value-based pricing?

Dunque, la scelta del giusto approccio e del modello da utilizzare diventa fondamentale per poter valutare correttamente come il bene viene percepito dal cliente. E quest’ultimo tema si rivela essere sempre più centrale in un’economia in cui l’esperienza e la percezione del consumatore sono tra i punti focali su cui basare le proprie strategie di pricing e di posizionamento.

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