Negli ultimi anni abbiamo sentito tutti parlare di Intelligenza Artificiale. È diventato ormai un termine non più relegato solo al contesto dei convegni, delle università o delle software house. Ci può capitare di leggerne sui giornali, di sentirne parlare al bar o di trovarlo scritto su una brochure come leva di marketing.
Se la diffusione dell’espressione “intelligenza artificiale” è cresciuta in modo esponenziale, non si può dire lo stesso della consapevolezza del suo reale significato e delle sue applicazioni.
Intelligenza artificiale, cosa c’è di intelligente?
Per fare chiarezza, cominciamo col dire che uno dei due termini è utilizzato in maniera impropria. “Intelligenza”, infatti, non è il termine opportuno. Andrebbe sostituito con un’espressione come “capacità di eseguire calcoli complessi su grandi moli di dati per arrivare ad un certo risultato”. Ora è chiaro perché usare intelligenza sia più efficace. Il risultato finale può far pensare che ci sia del ragionamento, dell’intelligenza, alla base, ma questo solo a causa della complessità dei processi e delle azioni che vengono eseguite.
La precisazione però va fatta. Quando si parla di intelligenza artificiale si fa riferimento in ogni caso a circuiti, a software, che se mal impostati e guidati dall’uomo, non potranno fare appello all’“intelligenza” per produrre risultati soddisfacenti. Questi algoritmi sono in alcuni casi in grado però di adeguarsi ai dati che si trovano ad elaborare, affinando man mano l’output, sulla base di nuove informazioni. È in questo caso che si parla di apprendimento automatico o di machine learning.
Intelligenza artificiale, perché utilizzarla in azienda?
Detto questo, l’intelligenza artificiale rappresenta in una buona percentuale di casi un approccio vincente per risolvere problemi di diversa natura. In particolare, utilizzare l’intelligenza artificiale rappresenta un valore aggiunto quando:
- la mole di dati da analizzare è troppo elevata per essere elaborata attraverso metodi tradizionali (software statistici, fogli di calcolo …) – in questo caso, l’AI non è una scelta, ma una necessità.
- la struttura dei dati da analizzare si presta ad uno studio di questo tipo. Spesso infatti, se utilizzabili, gli algoritmi di AI portano a risultati migliori rispetto ad altri più semplici ed in più, grazie al concetto di apprendimento visto prima, sono in grado di adattarsi a cambi repentini nei dati ed offrire risultati sempre adeguati al nuovo scenario.
Intelligenza artificiale, la classificazione degli algoritmi
Secondo una classificazione largamente condivisa, gli algoritmi di AI possono essere suddivisi in tre marco-famiglie:
- algoritmi supervisionati: quando le informazioni disponibili contengono già esempi di risultati (quindi sono già suddivisibili in input e output). L’algoritmo svolge dunque la funzione di comprendere il pattern che collega gli input agli output per poi “predire” adeguatamente casi futuri.
- algoritmi non supervisionati: a differenza dei primi, in questo caso non si dispone di esempi di output. Il ruolo dell’algoritmo è quindi quello di individuare la miglior soluzione al problema con i soli dati input: è il caso tipico dei problemi di segmentazione.
- algoritmi con apprendimento per rinforzo: in questo caso, l’algoritmo interagisce con l’ambiente in cui si trova e, a seconda delle sue azioni, riceve premi o penalità e “capisce” sempre meglio quindi come agire in futuro.
Intelligenza artificiale, come valutare le performance?
Per capire la bontà dei risultati di un algoritmo di AI esistono diversi indicatori, alcuni molto tecnici ed altri meno e specifici per tipologia di algoritmi, che permettono di valutare la capacità dell’algoritmo individuato di trovare soluzione alla problematica sottoposta.
È quindi utile, a partire dalla definizione del problema da risolvere, appoggiarsi ad esperti che sappiano individuare la miglior strada da seguire senza perdere tempo con implementazioni inutili. Per sviluppare questi algoritmi spesso non ci vuole molto tempo, il più è capire quale famiglia di metodi usare e poi provare. Alcuni tentativi di solito sono necessari, anche per gli esperti che arrivano ad individuare l’algoritmo più performante tramite miglioramenti incrementali nell’approccio perseguito.
Intelligenza artificiale, l’overfitting
Un’ultima precisazione da fare riguarda il fatto che gli algoritmi di AI forniscono molto spesso risultati probabilistici, ovvero del tipo “il risultato è A al 97%”. Questo va considerato nella scelta dell’approccio. Non ci sono equazioni, ma risultati frutto di un processo di apprendimento che possono essere giusti o sbagliati. Un buon approccio, è quello che sbaglia il giusto, ovvero poco, ma che a volte sbaglia. Vi sembra strana questa affermazione? Un algoritmo di AI che non sbaglia mai è un bel campanello dall’allarme:
- Il problema è troppo semplice e si possono utilizzare approcci meno impegnativi
- L’algoritmo è finito in un caso di “overfitting”, ovvero dove il processo di apprendimento si è adattato troppo ai dati di input e fa fatica a dare un buon risultato con dati nuovi – in questo caso l’algoritmo risulta inefficace ed è necessario rivedere quanto è stato progettato e sviluppato.
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