Spesso le aziende reagiscono a momenti difficili sul mercato con un forte taglio dei costi, una misura alla quale imprenditori e top manager ricorrono anche nelle fasi di incertezza economica, come quella in corso. Ma se la gran parte delle imprese che sono uscite dalla crisi del 2009 avevano già pesantemente armeggiato con la cesoia sui costi superflui, è altresì vero che le realtà produttive nate e cresciute nello scorso decennio hanno scelto probabilmente di essere da subito snelle alla voce dei costi. Per questo, concentrarsi sulla strategia di pricing, una disciplina che ha il potere di creare un vantaggio competitivo e stimolare la crescita durante i periodi di stagnazione, può diventare un asso nella manica delle aziende.
Anche perché il pricing, è un fattore molto più impattante dei costi. Infatti, se fossero enunciati i principi fondamentali del pricing, il primo sarebbe certamente quello ben riassunto da Mc Kinsey & Co. Il gigante della consulenza strategica ha messo in relazione volume, costi e prezzo, dimostrando come, in un conto economico medio, un aumento del prezzo dell’1%, a volumi stabili, genererebbe un aumento dell’8% degli utili, con un impatto di quasi il 50% superiore a quello di una riduzione dell’1% nei costi variabili e più di tre volte maggiore dell’impatto di un aumento dell’1% del volume.
Prevedere l’impatto di questo cigno nero sull’economia delle imprese non è di facile lettura per un imprenditore o un top manager, perché per la gran parte dei settori colpiti incidono due fattori: l’assenza totale della domanda che non ha precedenti nella storia recente e il tempo di ritorno alla normalità, che è del tutto incerto.
Secondo i consulenti di Bain & Company tra i settori più colpiti, oltre a quelli di più immediata intuizione, il manifatturiero, l’export, il turismo e i trasporti, ci saranno anche l’automotive e il settore assicurativo.
Nel paper “Beyond the Coronavirus Crisis: Prepare Now”, Bain sconsiglia l’approccio “wait-and-see” delle aziende, definendola come la scelta più sbagliata da prendere in tempi incerti. Nel pricing questo approccio ha infatti il rischio di sottovalutare tre fattori: le preferenze dei consumatori che possono modificarsi durante questi avvenimenti, l’elasticità della domanda che può cambiare in maniera residuale o sostanziale e i competitor, che potrebbero essere già pronti all’azione con una nuova strategia.
Quale approccio adottare in una situazione di crisi?
Il colosso della consulenza strategica Boston Consulting Group ha pubblicato nel 2009 un paper: “Crisis Pricing for the Downturn and After” la cui lettura, in queste settimane potrebbe essere utile a quelle imprese che hanno individuato nel pricing una leva per reagire a questa situazione.
Secondo BCG, nei mercati in cui c’è un leader che detiene elevate quote di mercato, in condizioni come quelle odierne, il rischio è che i player minori riducano aggressivamente il prezzo per erodere velocemente quote di mercato al competitor più forte. Azione che un leader di mercato non sarà mai incentivato a fare, perché riducendo in maniera evidente i prezzi guadagnerebbe poco in termini di nuove quote di mercato, inficiando per contro il proprio fatturato.
Le aziende con elevati costi variabili rispetto a quelli fissi possono invece guadagnare quote di mercato abbassando i prezzi. Per fare ciò, è necessario che il vantaggio in termini di costi sia pari almeno al 10%-20% rispetto al mercato, così da poter ingaggiare una guerra di prezzi a lungo termine.
In alcuni settori, come quello dei trasporti, le variazioni di prezzo sono trasparenti per consumatori e competitor. Questo implica che la riduzione dei prezzi da parte di un player comporti un’immediata reazione dei consumatori che “pretenderanno” un adeguamento simile da parte degli altri attori del mercato.
Quando la guerra di prezzo generata da questi momenti è inevitabile, come appena visto, secondo i consulenti di BCG esistono tre possibili strade:
Giocare in attacco: quando i competitor sembrano intenzionati ad abbassare i prezzi, si potrebbe scegliere di giocare d’anticipo ed essere i primi a farlo. Prima di decidere di intraprendere questa strada è necessario però analizzare in profondità le voci di costo e il proprio posizionamento nei confronti dei concorrenti, per comprendere il reale potenziale dell’azione di riduzione del prezzo, a breve e a lungo termine.
Giocare in difesa: una strategia che dipende principalmente dalla dimensione della propria quota di mercato e dal grado di frammentazione del mercato stesso. La scelta di optare per una difesa del proprio posizionamento di prezzo può avere un senso in situazioni di mercato ampiamente controllabili. Ad esempio, alcune aziende potrebbero decidere di produrre versioni low-price dei propri premium brand, da lanciare in risposta ad eventuali riduzioni di prezzo dei competitor.
Evitare di combattere direttamente: laddove è possibile adottare un nuovo modello di pricing, si può scegliere di adattare il proprio business model ai bisogni dei propri clienti, che sono cambiati nel momento della crisi. È il caso del mercato dei beni durevoli, dove un deciso cambio di approccio al consumo del cliente ha spinto le aziende a mettere a terra nuovi revenue model basati sul leasing o sul noleggio.
In questa fase, il pricing è fondamentale per l’obiettivo del mantenimento o dell’incremento della quota di mercato. Mettere a punto una tattica per rispondere ad ognuna di queste sfide è il modo migliore per trovarsi nella posizione vincente quando arriverà la ripresa. E infatti anche uno dei più celebri investitori al mondo, Warren Buffett, non ha mai fatto mistero del suo debole nei confronti della scienza del pricing dichiarando: “Nelle valutazioni per l’acquisizione di un’azienda la prima cosa da esaminare è quanto sia forte nella gestione del pricing”.